giovedì 4 luglio 2013

Il mio paese visto da Accursio Vinti




Questa è una Racalmuto, né Regalpetra, né Rararmuto dei poveri, né Rachalkamuth  della diplomatistica vaticana, ma solo l' astratta visione di un grande estraneo: Accursio Vinti.
Accursio Vinti, fiero oggi di essere racalmutese a pieno titolo sia pure della Confina, è meritoriamente ai miei occhi corpo estraneo di questa terra contraddittoria, ostica, satura del sale di una intelligenza nichilista che annulla o di extrasistole sulfuree foriere anche di morte e di morte per lupara  anche se non assidua.
Accursio Vinti è immune di quei succhi gastrici che io la mia gente i miei più vetusti avi portiamo dentro iconoclasti ed ostili fin da quei tempi post arabi quando ci dissero liberi dalla tabe araba per venire assoggettati ad un normanno vescovo di nome Gerlando che per sé per il papa per Dio e per gli uomini tutti cominciò a tassarci e tutti ci spinse all'odio, al disaccordo, all'infamia, alla recrimonia alla gogna all'ignominia.
Noi Racalmutesi veraci amiamo tanto questa terra come capolavoro del Dio dei cieli tanto da dovere odiare l'opposto che l'Iddio creatore volle organare per dimostrare a se stesso di essere subito pronto a capovolgere il suo capolavoro e l'opposto noi crediamo i nostri vicini, i nostri compaesani, gli altri racalmutesi.
Frottola dire che Sciascia stravedesse per questo paese, che lo considerasse "il paese della ragione". Furbetti in vena di piccola gloria giornalistica se lo inventarono. Ingenui ne scolpirono la fonte non capendo e non capendo dileggiando.
La famiglia pur di locupletare alla memoria ignorò un espresso divieto testamentario e pubblicò carte che dovevano rimanere ascose, giovanilmente troppo scoperte e la famiglia inventandosi credo fuoco sull'acqua disvelò il vero astio sciasciano verso il suo paese natale. Ne abbiamo tracciato le linee di quell'ostilità in altra occasione per doverci qui ripetere. Aspettiamo solo smentite.
Quando per ovvie ragioni, per un insperato successo raggiunto, Sciascia dovette parlare bene di Racalmuto, disse di avere scritto per amore di un paese che noi sappiamo non amava. Ma un po' alla gesuitica maniera in cuor suo credette di non aver mentito perché l'amore lui l'aveva riversato su l'inesistente allegorica Regalpetra.
Ma fu reo confesso. Adirato con Pasolini che gli aveva dato dell'ipotattico, ma costretto alla stizzita adulazione, attorno agli anni Settanta, ecco come rabbercia la sua antica dissociazione  verso i racalmutesi, ormai tutto racchiuso nell'esclusiva e inaccessibile torretta della Noce con pochi selezionatissimi amici, nessuno dei quali racalmutese (meno i non significativi al riguardo Aldo Scimé o Carmelino Rizzo). Tanu Savatteri come vezzoso ragazzo di bottega invero un qualche accesso ce l'aveva.
" ... ho ricordato  la dura signoria dei del Carretto su un povero paese di Sicilia", e in tal senso, in questo cupo alveo storico  "h[a] ... racconta[to] qualcosa della vita di un paese che am[a] (?) e sper[a]  di aver dato il senso di quanto lontana sia questa vita dalla libertà e dalla giustizia, cioè dalla ragione." La lettera è alta e benigna, il succo gastrico è micidialmente astioso. Che Racalmuto sia stata una landa ove si è abbarbicata come "erba alla roccia" una vita né libera né equa, tout-court priva di razionalità, senza il culto della RAGIONE, a me non consta. Contesto.
Non contesta certo Accursio Vinti: con occhio in fondo benevolo, amorevole persino, onirico sognatore astratto moderno vede così Racalmuto. E Racalmuto così è canto, anche se dodecafonico, è sublimità cerulea, è creatura di un ombratile creatore, l'uomo di bronzo che fuma in piazza, quasi recalmutese tra racalmutesi, secondo un preteso (ma non accorto) realismo, come se fosse ancora vivo a passeggiare davanti le sedie dei galantuomini del paese, e che tutti mi (a me incredulo) dicono essere Leonardo Sciascia. Cercando di indovinare io sbagliai torre e chiamai castello chiaramontano quello che per l'Autore tale non era e  non seppi mostrare l'antitetico Castelluccio. Chiese e bigotte lasciano segni lineari contorti ma senza spessore, mafiosi sanguinari un po' di rosso lo lasciano, ma lo sguardo è gioioso, affettuoso. Una vista in positivo che l'estraneo può permettersi. Ma non vi nacque. Io vi nacqui e partiì lontano non per bisogno ma per trovare più ampio "spazio vitale", giusto come l'intende Forthoff.

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